ANORESSIA NERVOSA E SPORT

ANORESSIA-NERVOSA-E-SPORT

A cura del Dott. Alessandro GROSSI

Il rapporto tra disturbi del comportamento alimentare ed esercizio fisico

L’anoressia nervosa ha inizio spesso con una dieta non diversa da analoghi tentativi di altri
adolescenti di perdere peso. Quali possono essere le possibili cause che portano tanti giovani, che praticano attività sportive e non, ad avere disturbi del comportamento alimentare? Certamente la risposta immediata è che bisogna far fronte e dar peso a diverse situazioni: affrontare le caratteristiche psicologiche, fisiche, dietetiche e, in particolar modo, ci si deve soffermare sui segni clinici che caratterizzano le fasi iniziali della malattia, affrontando tutte le situazioni psicofisiche, conseguenziali ad una intensa e duratura attività fisica, le pressioni dei mass media, ambientali, familiari e scolastiche, quotidiane, l’ossessione della competitività e del corpo magro come ideale sociale. E’ giusto si affrontino, soprattutto, problemi di natura psicologica che ruotano, prevalentemente, intorno ad una “non stima di sée, allo stesso tempo alla ricerca di un perfezionismo maniacale. Individualizzare le caratteristiche salienti riguardanti i segni clinici della malattia conclamata e le conseguenze anatomo-patologiche che si realizzano a livello dei vari distretti corporei. Da qui, la possibilità di una diagnosi precoce del disturbo, attraverso dei test con domande multiple, che potrebbero essere implementate in ogni scuola e/o circolo sportivo al fine di poter scoprire eventuali soggetti a rischio. Ampliare il concetto di equilibrio dietetico come fattore importante nel soddisfare le esigenze caloriche di base e quelle legate allo sforzo fisico e, allo stesso tempo, capace di mantenere un peso forma adatto ad ogni performance richiesta. Fare prevenzione del disturbo alimentare e, a tale scopo, si nominano: l’approccio con la famiglia, una rivisitazione di messaggi mediatici pericolosi, un approccio multidisciplinare come momento importante di prevenzione nell’innesco di questa grave malattia. Il concetto di anoressia può essere considerato relativamente nuovo. Infatti prima degli anni settanta il disturbo era generalmente sconosciuto, tranne che per pochi specialisti. Ma la storia dell’anoressia come entità clinica, in realtà, si estende indietro nel tempo per almeno tre secoli. Il momento decisivo fu la comparsa del lavoro di Hilde Bruch che coincise con una forte crescita dei disturbi dell’alimentazione. Siamo nel 1973 e la pubblicazione del libro della Bruch sui disturbi dell’alimentazione costituì una grossa novità sia nell’ ambito della teoria che della pratica. La pubblicazione della Bruch, come già detto, fu contemporanea all’aumentare della prevalenza dell’anoressia nervosa e della bulimia. La Bruch aveva lavorato per un trentennio con pazienti anoressiche ed aveva dato importanti contributi allo studio dell’obesità nei bambini e negli adolescenti. Nel suo lavoro, “Eating Disorders “, venivano prese in considerazione tanto l’anoressia che la bulimia. L’autrice sosteneva che entrambi i disturbi ruotavano intorno a problemi legati all’immagine di sé oltre ad altri dati caratteristici dello sviluppo psichico. La Bruch era convinta del profondo legame esistente tra le anomalie patologiche della forma e del peso corporeo e i disturbi della funzione alimentare come centro del conflitto psicologico. In questo stesso lavoro la Bruch sosteneva che l’anoressia dovesse essere interpretata in termini di sviluppo della personalità globale, nel contesto della famiglia, piuttosto che esclusivamente in termini di sviluppo psicosessuale. A tal riguardo ella proponeva due tipi di anoressia, una forma primaria ed una forma secondaria.
Nella prima erano sempre presenti tre caratteristiche distintive e centrali:
a) un’immagine distorta del corpo, la percezione errata ed ingannevole di esso percepito come grasso;
b) un’incapacità di identificare sentimenti interiori e condizioni di bisogno, in particolare la fame, più in generale l’intero spettro delle emozioni;
c) la percezione che le proprie azioni, pensieri e sentimenti non originino attivamente dentro di sé ma riflettano passivamente aspettative e richieste esterne:
 in poche parole essere un “nulla”, di non essere un agente attivo nel controllo del proprio destino. Quest’ultimo punto potrebbe far capire perchè l’anoressia si sviluppi spesso nell’adolescenza, periodo in cui lo sviluppo del senso di autonomia e padronanza di sé ha una grossa importanza ai fini del raggiungimento della maturità e della indipendenza dai propri genitori. La forma secondaria di anoressia, secondo la Bruch, è caratterizzata da una notevole perdita di peso come conseguenza di una patologia psichiatrica in cui il raggiungimento della magrezza e la mancanza patologica di autonomia non costituiscono elementi primari. Questa forma implica la presenza di conflitti psicologici centrati sulla funzione nutritiva e, per usare lo stesso linguaggio della Bruch, “interpretazioni simboliche distorte della funzione alimentare” che derivano da situazioni patologiche che vanno dai disturbi nevrotici fino alla psicosi. La distinzione proposta dalla Bruch tra anoressia primaria e anoressia secondaria (o atipica) non è stata pienamente accettata tra i criteri diagnostici contemporanei, ma ha valore dal punto di vista della pratica clinica, e soprattutto, notevole importanza per il trattamento. La più recente definizione diagnostica dell’anoressia nervosa fornita dalla American Psychiatric Asociation nel suo manuale, il DSM III-R, ricalca chiaramente il pensiero della Bruch in quanto ritiene essenziali i seguenti criteri diagnostici:
a) rifiuto di mantenere il peso del proprio corpo al di sopra della soglia minima attesa in
relazione all’età e all’altezza;
b) vero e proprio terrore di acquistare peso o diventare grasso;
c) immagine corporea distorta (sentirsi grassi);
d) amenorrea.

La maggioranza dei soggetti anoressici sono donne; il disturbo si presenta anche nei maschi ma in un numero di casi che oscilla tra il 5 e il 10% dei casi diagnosticati. Studi condotti negli anni Ottanta hanno, comunque, rilevato che la maggior parte dei casi di anoressia si sviluppa tra le giovanissime e ciò potrebbe essere conseguenza di preoccupazioni crescenti per il peso e le diete ma potrebbe anche essere conseguenza di veri e propri bombardamenti mediatici e da continue richieste di “non mangiare” per ottenere la migliore performance. Gli osservatori contemporanei concordano sulla necessità di interpretare l’anoressia innanzitutto come un disordine dello sviluppo adolescenziale conseguente ad una incapacità di far fronte alle richieste evolutive di quel periodo ed in particolare al bisogno di sviluppare una identità ed un senso di personalità chiaramente definiti. I soggetti anoressici crescono spesso in famiglie con forte tendenza alla ricerca del successo e grande cura delle apparenze esterne. Dietro un atteggiamento generalmente positivo, tali soggetti hanno, di solito, sentimenti di debolezza e indegnità e, pertanto si sentono obbligati, in rapporto a quanto percepiscono, a corrispondere ad incessanti richieste di perfezione. Il periodo tipico in cui emerge l’anoressia è dopo la pubertà, allorquando le esigenze dell’adolescenza mettono l’individuo di fronte alla necessità di una maggiore indipendenza, alla sfida delle relazioni sessuali, al bisogno di perseguire obbiettivi ed attività autonome. Tutte queste situazioni tendono ad aggravare un preesistente senso interiore di dubbio e di spregio di sé. Il fatto di sottoporsi ad una dieta nei soggetti più vulnerabili, genera inizialmente un forte senso di autocontrollo che ha basi sia interiori che sociali: interiori perchè dà un senso di padronanza e di euforia ad un individuo che in precedenza si sentiva non solo debole ma anche depresso e vuoto; sociali perchè in una cultura che valorizza la magrezza il raggiungimento di una tale forma corporea costituisce un trionfo. L’anoressica inoltre, ricava una soddisfazione secondaria in rapporto a ciò che i suoi sintomi danno all’interno della famiglia: l’anoressica, a tal riguardo afferma la sua presenza in un modo che non può essere ignorata; il rifiuto del cibo richiama negli altri un’intensa risposta. Le anoressiche non solo sono vittime dell’ossessione attuale per le diete, ma in percentuale significativa finiscono per cacciarsi in modelli compulsivi di esercizio fisico. Sin dalle prime ricerche sull’anoressia, la iperattività era considerata un sintomo importante, tuttavia per anni il suo ruolo è stato scarsamente studiato. Recentemente, però, alcuni autori hanno avanzato l’ipotesi che l’iperattività svolga un ruolo primario nella sintomatologia complessiva dell’anoressia. La cultura occidentale contemporanea esalta e idealizza l’esercizio fisico forse ancor più dei regimi dietetici. Il boom della forma fisica, come base di ogni successo, è diventata la manifestazione della tradizionale passione per gli sport e il fitness. Le attrezzature ginniche, i clubs salutisti ed una nuova generazione di allenatori professionisti costituiscono insieme una industria in crescita che, forse ancor più del desiderio di dimagrire è frutto del culto del corpo nelle società consumiste. Nel quadro culturale complessivo la pratica fisica, è uno degli strumenti tra i più efficaci per la lotta contro il grasso: la cultura del tenersi in forma è conforme ai bisogni dell’anoressica, soprattutto alla sua ricerca di un senso di padronanza interiore mediante una dura disciplina fisica. Ricercatori australiani hanno riscontrato che, in nove casi di anoressia nervosa su 26 esaminati, la causa principale di gravi perdite di peso era l’esercizio fisico e non il ricorso a regimi dietetici. Il rapporto tra esercizio fisico ed anoressia risulta particolarmente evidente tra i giovani atleti, un problema al centro di un’attenzione crescente nella letteratura relativa alla medicina dello sport. Spesso si richiede ai giovani atleti di mantenere una percentuale di grasso corporeo molto inferiore
ai valori normali per l’età, il che, unitamente alle forti pressioni degli allenatori e alle esigenze della
competizione stessa, può condurre i soggetti più vulnerabili direttamente all’anoressia e alla bulimia. In questi soggetti le “strategie patogene di controllo del peso: digiuno prolungato, vomito provocato, pillole dietetiche, lassativi e diuretici”, possono essere la base per l’avvio della malattia. Avere una conoscenza reale del proprio peso, della propria struttura ossea e muscolare è di estrema importanza; rasentare il perfezionismo imitando immagini patologiche “dell’essere magro per essere belli” che possano far cadere inevitabilmente nella patologia, sono tutte situazioni portano alla conoscenza e chiariscono, forse definitivamente, che cosa significa essere “perfetto”. Ed infatti, prendere conoscenza di quale deve essere il proprio peso ideale e di come condurre, quotidianamente, una dieta che sia equilibrata e validata dalla Scienza della Nutrizione, anche in rapporto all’entità dello sforzo fisico, da una parte, e al mantenimento di linee armoniose, dall’altra, è stato importante nel fortificare il carattere e nel dare sicurezza di vita quotidiana. E’ un problema importante che, le organizzazioni che si interessano di sport, dovrebbero prendere in considerazione proprio per portare sul campo strategie di comportamento e di comunicazione tali da far comprendere realmente cosa significhi essere magri, cosa significhi essere perfetti.

Dott. Alessandro GROSSI grossi.alessa@tiscali.it
Laureato presso Accademia Nazionale di Danza; diplomato presso SDA Bocconi School Of Management di Milano; diplomato presso POLESTAR Pilates International School.

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